Buck Ellison | Giornale dell’Arte
Lei è laureato in letteratura tedesca. Come e quando ha iniziato a interessarsi alla fotografia e qual è stato il suo percorso formativo?
Ho iniziato a smanettare con la macchina fotografica a 15 anni; da allora, spero di aver affinato un po’ le mie capacità. Studiare letteratura mi ha insegnato a fare ricerca e a costruire argomentazioni, abilità che risultano basilari per il mio lavoro.
Le sue opere sono caratterizzate da una forte attenzione ai dettagli e alle sfumature emotive, che si traducono in un’intensa rappresentazione della realtà in cui qualcosa, tuttavia, non quadra. Da dove nasce la sua passione per queste storie?
Il tedesco ha influenzato profondamente la mia pratica. Mi ha insegnato che i libri e le opere d’arte non sono qui per fornire risposte, ma piuttosto per porre delle domande. Una grammatica rigida fa da griglia alla lingua, costruendo una struttura che può supportare livelli straordinari di umorismo, sottigliezza e sfumature. Mi sforzo di raggiungere questo obiettivo nel mio lavoro.
Può parlarci di come ha tradotto in fotografia il problema logico «The Muddy Children Puzzle»?
Nella teoria economica dei giochi, «The Muddy Children Puzzle» dimostra che tutti i membri di un gruppo possono sapere che qualcosa è vero senza che tale affermazione sia di dominio comune. Gli studiosi utilizzano l’immagine di bambini con la fronte sporca di fango per illustrare questo fenomeno. Il fango sulla fronte mi ha ricordato «Salad Bowl», un gioco di società in cui i giocatori hanno dei post-it con personaggi famosi scritti sulla fronte. I compagni di squadra cercano di farvi indovinare chi siete, ma hanno il divieto di dire certe parole che sarebbero troppo rivelatrici. Questo divieto, e l’idea che tutti i membri possano conoscere un fatto senza che sia di dominio pubblico, racchiudono perfettamente tutto ciò che volevo esplorare sui gruppi, sul silenzio e sul linguaggio.
Leggere l’intervista completa qui.